La tappa di partenza della nostra indagine sulle rivoluzioni arabe inizia con l’Egitto. In questo paese la rivoluzione ha vissuto un percorso molto particolare che lo possiamo definire una via di mezzo fra il processo pacifico della democratizzazione della Tunisia e lo scenario belligerante della Siria. In Egitto tutto ebbe inizio nel gennaio 2011 con la deposizione del “faraone” Hosni Mubarak e con l’arrivo al potere, se pur in modo frettoloso e male organizzato, del partito dei Fratelli Mussulmani con l’elezione democratica del Presidente Mohamed Morsi, rimasto al potere fino alla sua deposizione del 1 luglio 2013. La caduta di Morsi, etichettata dal mondo occidentale come colpo di stato dei militari, di fatto ha rappresentato la volontà popolare di non accettare trattamenti islamisti in una terra, l’Egitto, da sempre improntata ad una laicità ed occidentalizzazione dei costumi. Non v’è dubbio che in questo processo non siano mancate influenza da parte di potenze straniere che hanno da un lato armato i militari con forti finanziamenti economici e dall’altro, potenze occidentali che erano pronte a finanziare la fratellanza musulmana. Ma la grave situazione economica che ha colpito il paese dopo i due anni di presidenza Morsi, hanno indotto il popolo a scendere in piazza per esercitare il loro “anomalo” diritto di scelta, utilizzando uno strumento della democrazia non più agganciato al sistema elettorale ma con quello delle grida di piazza affiancate ad una petizione popolare di ventidue milioni di firme da parte di egiziani stanchi della stagnazione del sistema. Cercheremo, in questa sede, di ripercorrere quanto accaduto soprattutto dando una particolare attenzione alle influenze straniere.
Va detto che diversamente di altre realtà, (vedi la Siria) l’Egitto è un paese forte e autonomo per tenere testa alle pressioni straniere. Ma le grandi potenze non sono estranee nemmeno a dramma in corso in quel paese. Il colpo di stato dei militari rovesciò il governo, screditato ma legittimo, dei Fratelli Musulmani. Una rottura così brutale del processo democratico in qualunque altro paese avrebbe sollevato un’indignazione planetaria. Ma in Egitto, le cancellerie occidentali hanno approvato. Gli Stati Uniti e i loro alleati Europei, ma anche l’Arabia Saudita e i suoi vicini del Golfo, Giordania e Israele, hanno tutti accettato l’intervento della forza militare, che li sbarazzava di un Mohamed Morsi democraticamente eletto ma ritenuto incontrollabile.
Non appena instaurato, il nuovo regime ha subito ricevuto dall’Arabia Saudita e dal Kuwait un aiuto economico di 12 miliardi di dollari: nove volte l’assistenza militare annua statunitense, pari ad 1,3 miliardi di dollari. La scelta di Riyad si spiega con almeno due ragioni: da una parte, l’antica diffidenza del regime wahabita (corrente religiosa islamica) rispetto ai fratelli musulmani e dall’altra il timore che l’esempio della giovane democrazia egiziana si propaghi a macchia d’olio e non dia ai sudditi il coraggio di ribellarsi al clan dei Suad.
Il fatto che l’Occidente abbia avallato il colpo di Stato dei militari non ha accresciuto il suo prestigio presso la popolazione egiziana, per l’implicito messaggio che una democrazia è accettabile solo se porta al potere candidati ben visti dalle potenze straniere. Inoltre, voltando le spalle ai Fratelli Musulmani, Washington ha sabotato da sé il progetto arabo-.occidentale di un blocco sunnita compatto suscettibile di contrastare l’influenza iraniana, provocando al tempo stesso un’insolita convergenza della politica estera israeliana e saudita.
Il colpo di Stato del generale Abdel Fattah al Sissi è stato certamente il risultato di una politica economica disastrosa e della crescente impopolarità di Morsi: i suoi stessi elettori avevano perso fiducia nella capacità di del governo di rispondere ai problemi della disoccupazione e della corruzione. Le ambizioni egemoniche dei Fratelli Musulmani che rifiutavano di condividere la minima parte del potere, hanno finito per screditarli del tutto. E si sono scontrate con la resistenza dell’apparato statale, ancora formato da forze dell’ordine, giudici e fulul (dignitari del vecchio regime) visceralmente ostili alla fratellanza. Lo “Stato profondo” non ha perso l’occasione per risalire in superficie. Un compito reso facile dal fatto che i Fratelli Musulmani, emarginando giudici, governatori e notabili per piazzare i propri uomini all’interno dell’apparato statale, si erano anche inimicati alleati potenziali sia fra la sinistra che fra i salafiti.
Il fulmine che si è abbattuto su di loro segna anche la fine del senso di invincibilità che circondava l’islamismo. La fratellanza non era né un gruppo rivoluzionario, né la branca locale di un fronte terrorista internazionale ma una organizzazione piuttosto conservatrice che sosteneva l’osservanza dei precetti religiosi, il liberismo economico e la carità verso i più poveri. Peraltro non avevano alcun rapporto con i Salafiti né con i teologi di Al Azhar. Attualmente i suoi adepti sono in prigione o in clandestinità. Più prudenti ed astuti i salafiti del partito Nur hanno dato prova di pragmatismo dichiarando fedeltà al regime militare. In fin dei conti, la sfera islamista si è al tempo stesso diversificata e frammentata, facendo emergere nuove figure esterne ai tradizionali circuiti accademici e politici.
Nel loro breve passaggio al potere i Fratelli Musulmani si erano guardati bene dall’avviare un’islamizzazione forzata della società egiziana. Avevano piuttosto l’obiettivo di consolidare il loro dominio politico sul terreno istituzionale. Non è un caso che durante il colpo di stato il governo Morsi si sia difeso facendo riferimento all’argomento della legittimità piuttosto che alla legge islamica. In questo senso, i timori occidentali di vedere la “primavera araba” sfociare in contagio islamista del Medioriente non sembrano avere grande consistenza.
Sempre in Egitto, il colpo di Stato militare ha ottenuto la benedizione del movimento dei giovani Tammarrod, della Chiesa copta e delle formazioni laiche liberali. Il liberismo rivendicato da parte di quest’ultime non comprendeva, con tutta evidenza, la difesa del pluralismo politico, incompatibile con l’esclusione della fratellanza musulmana. A quel punto il pluralismo poteva scomparire del tutto. La censura imposta dal nuovo regime militare è in effetti più implacabile di quella vigente durante la presidenza di Hosni Mubarak. I Fratelli Musulmani non solo sono stati cancellati dalla mappa con una mano dura inusuale dai tempi del presidente Gamal Abdel Nasser, ma la loro messa al bando è stata accompagnata da una campagna nazionalista e xenofoba che assimilava i loro militanti a nemici pubblici al soldo di potenze straniere. L’inattesa conseguenza della rivoluzione Egiziana è stata che una presidenza autocratica si è trasformata in una dittatura militare, compreso il ricorso alla legge marziale e alla violenza legale. Le elezioni non sono state cancellate, ma si svolgono sotto stretto controllo.
Con l’interdizione dei Fratelli Musulmani e l’atomizzazione di tutte le forze politiche del paese, l’esercito si è imposto in mancanza di altro. E non lascerà il potere spontaneamente, almeno non finché godrà della complicità delle potenze occidentali e degli stati del Golfo, e finché si considererà la chiave di volta della società.
L’Egitto non è scosso dalle tensioni etniche e religiose che minano alcuni dei suoi vicini; l’ipotesi di un conflitto aperto sembra dunque scongiurato. Tuttavia, i militari non possono pensare di ripristinare il vecchio ordine. Il costo di una repressione massiccia è diventato politicamente esorbitante, e gli egiziani hanno ormai preso gusto alle forze delle mobilitazioni di massa. Peraltro il fossato fra islamismo e laicismo rischia di approfondirsi. Alcuni Fratelli Musulmani potrebbero essere tentati di prendere le armi.
Ma la novità principale è la richiesta sempre più forte, da parte della popolazione, che i politici le rendano conto di quel che fanno. Anche in occasione del colpo di Stato del luglio 2013, i militari hanno dovuto giustificare i propri atti, in seguito a una iniziativa democratica avviata da gruppi di cittadini che esprimevano a viva voce la propria inquietudine. Il regima si trova oramai di fronte a una scelta spinosa: se resuscitare il regime di Mubarak, con un generale Al Sissi che passa dalla divisa mimetica al completo giacca e cravatta, o preferire il modello algerino, nel quale i civili hanno voce in capitolo, ma lasciano ai miliari il diritto di veto sulle questioni importanti.
The starting stage of our investigation on the Arab revolutions began with Egypt. In this country, the revolution has lived a very particular path that we can define a middle ground between the peaceful process of democratization Tunisian and belligerent in Syria. In Egypt, it all began in January 2011 with the deposition of the ” pharaoh ” Hosni Mubarak and with the arrival in power, albeit in a hasty manner and badly organized , the party of the Muslim Brotherhood with the democratic election of President Mohamed Morsi, left in power until his deposition on July 1, 2013. The fall of Morsi, labeled by the Western world as a coup by the military, in fact, represented the will of the people not to accept treatment Islamists in a country , Egypt has always been marked by secularism and Westernization of the costumes . There is no doubt that in this process are not missed by the influence of foreign powers that have reinforced the military on the one hand with strong economic and other funding , the Western powers who were ready to fund the Muslim Brotherhood . But the serious economic situation that has hit the country after two years as president Morsi, led the people to take to the streets to exercise their “anomalous” right to choose , using a tool of democracy is no longer pegged to the electoral system but with that the cries of the square side by side with a petition of twenty-two million signatures from Egyptians tired of the stagnation of the system. We will try , in this context , to retrace what happened especially giving special attention to foreign influences .
It must be said that unlike other reality (see Syria), Egypt is a country strong and independent to cope with the foreign pressures . But the great powers are not alien even to drama going on in that country. The military coup overthrew the government , but discredited legitimate , the Muslim Brotherhood. A break so brutal the democratic process in any other country would raise global outrage . But in Egypt, the Western governments have approved . The United States and its European allies , but also Saudi Arabia and its Gulf neighbors , Jordan and Israel have accepted the intervention of the military force , that they got rid of a democratically elected Mohamed Morsi but considered uncontrollable.
Once established , the new regime has been received by Saudi Arabia and Kuwait economic aid of $ 12 billion , nine times the annual U.S. military assistance , amounting to 1.3 billion dollars. The choice of Riyadh is explained by at least two reasons : on the one hand, the old mistrust of the Wahhabi regime ( current Islamic religious ) compared to the other Muslim brothers and the fear that the example of the young Egyptian democracy will spread to stain d ‘ oil and does not give the subjects the courage to rebel against the clan of Suad .
The fact that the West has endorsed the coup the military has increased its prestige among the Egyptian population , the implicit message that democracy is acceptable only if it leads to power candidates well regarded by foreign powers . In addition , turning his back to the Muslim Brotherhood , Washington sabotaged by the project itself Arab- Sunni western part a compact susceptible to counter Iranian influence , at the same time causing an unusual convergence of the Saudi and Israeli foreign policy .
The coup d’état of General Abdel Fattah to Sissi was certainly the result of a disastrous economic policy and the growing unpopularity of Bites : his own voters had lost confidence in the ability of government to respond to the problems of unemployment and corruption. The hegemonic ambitions of the Muslim Brotherhood who refused to share a small part of the power , they ended up discrediting them at all. It clashed with the strength of the state , yet formed from the police, judges and fulul ( dignitaries of the former regime ) viscerally hostile to the brotherhood. The ” deep state ” has not lost the opportunity to rise to the surface . A task made easier by the fact that the Muslim Brotherhood , marginalizing judges , governors and nobles to place their men within the state apparatus , had also alienated potential allies and between the left and among the Salafis.
The lightning that hit on them also marks the end of the sense of invincibility that surrounded Islamism. The Brotherhood was neither a revolutionary group nor the local branch of an international terrorist front but rather an organization that supported the conservative religious observance , economic liberalism and charity toward the poor. Moreover, they had no relationship with the Salafis nor the theologians of Al Azhar . Currently his followers are in prison or in hiding. More cautious and cunning of the Salafist Nour Party have demonstrated pragmatism declaring loyalty to the military regime . In the end , the Islamist sphere is at the same time diverse and fragmented , bringing out new roles outside the traditional academic community and politicians.
In their brief stay in power , the Muslim Brotherhood had looked good from opening Forced Islamization of Egyptian society . They’d rather the aim of consolidating their political rule on the institutional . It is no coincidence that during the coup government has defended Bites referring to the subject of legitimacy rather than to Islamic law. In this sense, Western fears of seeing the “Arab Spring” Islamist lead to contagion in the Middle East do not seem to have great consistency.
Also in Egypt , the military coup has obtained the blessing of the youth movement Tammarrod , the Coptic Church and the secular liberal formations . Liberalism claimed by the latter did not understand, obviously, the defense of political pluralism , which is incompatible with the exclusion of the Muslim Brotherhood . At that point pluralism could disappear altogether. The censorship imposed by the new military regime is in fact more implacable than the force during the presidency of Hosni Mubarak. The Muslim Brotherhood have not only been erased from the map with a hard hand unusual since the time of President Gamal Abdel Nasser , but their ban was accompanied by a nationalist and xenophobic campaign that assimilated their militant enemies in the pay of public powers foreign . The unexpected result of the Egyptian revolution was that autocratic presidency has turned into a military dictatorship , including the use of martial law and legal violence . The elections were not canceled but are held under strict control.
With the ban of the Muslim Brotherhood and the atomization of all the political forces of the country , the army has imposed in the absence of another . It will not leave power voluntarily , at least not until it will enjoy the complicity of the Western powers and the Gulf states , and as long as you consider the keystone of the company.
Egypt is not shaken by ethnic and religious tensions that undermine some of its neighbors , the possibility of open conflict seems therefore averted. However , the military can’t hope to restore the old order. The cost of a massive crackdown has become politically exorbitant , and the Egyptians have now taken a liking to the forces of mass mobilizations . Moreover, the gap between Islam and secularism threatens to deepen. Some Muslim Brotherhood might be tempted to take up arms .
But the main novelty is the increasingly strong demand by the population , the politicians make them aware of what they do. Even during the coup of July 2013, the military had to justify their acts , following a democratic initiative launched by a group of citizens who expressed aloud his concern . The regime is now faced with a tricky choice : whether to resurrect the Mubarak regime , with a general Al Sissi passing by to camouflage uniform jacket and tie, or prefer the Algerian model , in which civilians have a say, but shall leave to the stepping right of veto on important issues