A tre anni dall’inizio di un movimento che ha eliminato dalla scena politica Zine El-Abidine Ben Ali e Hosni Mubarak, la contestazione nel mondo araba, minacciata dalle ingerenze straniere e dalle divisioni confessionali, è alla ricerca di una nuova energia. La Siria lo scenario peggiore, mentre la Tunisia conferma che l’aspirazione alla cittadinanza e la ricerca di compromesso possono sfociare in progressi effettivi. All’inizio la primavera araba ha mandato in pezzi i pregiudizi occidentali. Smentendo i cliché orientalisti sulla congenita incapacità degli arabi di concepire un sistema democratico, e la convinzione per cui essi non meriterebbero che governi autoritari. A tre anni di distanza, si è appannata, ma non ha detto la sua ultima parola. Rimangono tutte le incertezze sullo sbocco del processo, che è entrato nella sua quarta fase.
La prima tappa, conclusasi nel 2011, è stata una gigantesca ondata sfociata nelle rivendicazioni relative alla dignità e ai diritti di cittadinanza , con proteste massicce e spontanee. Nella tappa successiva quella del 2012, le lotte si sono ripiegate sul contesto locale e si sono adeguate al retaggio storico di ogni paese. Contemporaneamente, forze esterne hanno iniziato a dirottare i conflitti verso direzioni più pericolose, portando i popoli nella situazione attuale.
L’anno scorso si assistito a una terza segnata dall’ internazionalizzazione con una ingerenza sempre più aggressiva da parte delle potenze regionali e occidentali. La focalizzazione sulle rivalità fra sunniti e sciiti si è generalizzata a tutto il Medioriente, spingendo ogni Stato e ogni società a polarizzarsi sull’asse delle identità confessionali. Pericolosamente le rivalità geopolitiche e le tensioni religiose prevalgono sulle specificità di ogni paese e sembrano ridurre gli attori locali a marionette in mano di potenze straniere.
Il confronto fra Siria, Egitto e Tunisia rivela uno spettro multicolore di influenze regionali. Nel primo, gli interventi esterni hanno attivato la guerra civile e galvanizzato le frange più radicali degli insorti. In Egitto, il sostegno occidentale alla politica autoritaria del nuovo regime ha schiacciato le motivazioni democratiche iniziali. Solo la Tunisia sembra avviata su un cammino promettente, essendole relativamente risparmiati gli scontri geopolitici, religiosi e ideologici che hanno sconvolto la regione.
Tuttavia in ognuno di questi paesi, “la primavera araba” ha lasciato l’impronta indelebile di una mobilitazione popolare durante la quale i cittadini hanno preso coscienza della propria forza. Ha aperto spazi di contestazione che lo Stato può chiudere solo a prezzo di una repressione costosa in termini politici. Per quanto incerto sia il futuro, l’ordine autoritario che prima dominava si è sgretolato.
Il movimento di ribellione sta entrando nel quarto anno e c’è da aspettarsi che continuino le ingerenze estere nei conflitti locali e che si amplifichino i loro effetti deleteri. Le linee di fronte geopolitico, religiose e ideologiche adesso lacerano tutto il Medioriente. E’ solo rinunciando a immischiarsi nelle rivoluzioni che il mondo esterno può aiutarne la rinascita.
In quest’anno appena iniziato, tuttavia, si possono notare alcune tendenze meglio definite. Prima di tutto, le monarchie del Golfo rischiano di pesare ancora di più nelle questioni dei loro vicini arabi. La rendita petrolifera dà loro un’influenza decisiva su paesi molto meno fortunati come l’Egitto, il Marocco e la Giordania: là i loro aiuti sono superiori a quelli del blocco occidentale, i quali hanno però il vantaggio di non dipendere dai corsi di petrolio o dagli umori degli emiri.
Inoltre, occorre sottolineare l’importanza degli accordi conclusi nel periodo di transizione nazionale. In Medioriente la logica della divisione ha la meglio sulla ricerca del compromesso, e le fazioni si sbranano per il potere invece di condividerlo.
In terzo luogo la debolezza delle istituzioni locali ha portato farina al mulino dei sabotatori del processo democratico. I salafiti tunisini ed egiziani e i falsi liberali egiziani sono personaggi di secondo piano che non hanno niente da perdere facendo fallire accordi difficilmente negoziati. Essi guadagnano importanza quanto più le istituzioni si indeboliscono e aumentano gli interessi in gioco. In scenari estremi, gli Stati indeboliti non hanno modo di sradicare il circolo vizioso del dilemma securitario. In Yemen ed in Libano, molti gruppi preferiscono prendere le armi anziché affidarsi a uno Stato incapace di proteggerli, e così lo indeboliscono ulteriormente.
L’ultimo punto riguarda la cittadinanza. I popoli arabi non si percepiscono più come masse di sudditi, ma come forze di cittadini che meritano rispetto e parola. Quando inizierà una nuova sollevazione, questa sarà più esplosiva e duratura. I cittadini arabi sono stati testimoni delle soluzioni estreme alle quali i loro governi sono pronti a ricorrere per mantenersi al potere. E i regimi coercitivi dal canto loro conoscono bene la determinazione delle masse a farli “sloggiare”.
Dopo questa premessa di ordine generale, nei prossimi giorni tratteremo singoli dossier sulla Siria, Egitto e Tunisia.
Three years after the beginning of a movement that has eliminated from the political scene Zine El- Abidine Ben Ali and Hosni Mubarak, the protest in the Arab world , threatened by foreign interference and sectarian divisions , is looking for a new energy . Syria is the worst case scenario , while Tunisia confirms that the aspiration to citizenship and the search for compromise can lead to real progress. At first, the Arab Spring has shattered Western prejudices . Denying the Orientalist clichés about the congenital inability of the Arabs to conceive a democratic system , and the belief that they do not deserve that authoritarian governments . Three years later, was tarnished , but has not said its last word . Remain all the uncertainties at the mouth of the trial, which entered its fourth phase .
The first stage , completed in 2011, was a giant wave that led to the claims relating to the dignity and rights of citizenship, with massive protests and spontaneous . In the next stage one of 2012 , the struggles you are bent on the local environment and have adapted to the historical heritage of each country. At the same time, external forces have begun to divert conflict in directions more dangerous , leading people in the current situation .
The past year witnessed a marked internalization third with a more aggressive interference by the regional powers and the West. The focus on the rivalry between Sunnis and Shiites is generalized to the entire Middle East , pushing every state and every society to polarize the axis of denominational identity . Dangerously geopolitical rivalries and religious tensions prevail over the specific characteristics of each country and appear to reduce local actors to puppets in the hands of foreign powers.
The comparison between Syria , Egypt and Tunisia reveals a spectrum of multi- regional influences . In the first , external interventions have triggered the civil war and galvanized the most radical fringes of the insurgents. In Egypt, the Western support for authoritarian policy of the new regime has crushed the democratic initial motivations . Tunisia seems only started on a promising path , relatively spared clashes geopolitical , religious and ideological that rocked the region.
However, in each of these countries , the ” Arab Spring” has left the imprint of a popular mobilization during which citizens have become aware of its own strength . He opened spaces of contestation that the State can close only at the price of repression costly in political terms. As far as the future is uncertain , the authoritarian order that prevailed before it crumbled .
The protest movement is entering the fourth year and we can continue waiting that the foreign interference in local conflicts and that they amplify their deleterious effects . The lines in front of the geopolitical , religious and ideological now tearing across the Middle East . It ‘s just refusing to get involved in the revolutions that the outside world can help in the revival .
In the year just started , however, you may notice a few trends more clearly defined . First of all, the Gulf monarchies are likely to weigh even more issues of their Arab neighbors. The oil revenue gives them a decisive influence on a lot of less fortunate countries such as Egypt, Morocco and Jordan beyond their aid are higher than those of the Western bloc , which , however, have the advantage of not depend on oil prices or by the moods of the emirs .
In addition , it is necessary to emphasize the importance of the agreements concluded during the period of national transition . In the Middle East the logic of the division has the better on the search for compromise , and the factions will devour for power instead of sharing it.
Thirdly, the weakness of local institutions has led to the flour mill of the saboteurs of the democratic process . The Tunisian and Egyptian Salafists and false liberal Egyptians are minor characters who have nothing to lose by making agreements difficult negotiations fail . They gain importance as more institutions are weakened and increase interest in the game. In extreme scenarios , weakened states have no way of eradicating the vicious circle of security . In Yemen and Lebanon , many groups prefer to take up arms rather than relying on a state unable to protect them, and so weaken it further.
The last point concerns the citizenship . The Arab people do not perceive themselves as more masses of subjects, but as a force of citizens who deserve respect and word . When you start a new uprising , this will be more explosive and lasting . The Arab citizens have witnessed the extreme solutions to which their governments are prepared to use to maintain power . And the coercive regimes on the other hand know the determination of the masses to get them to ” dislodge ” .
After this introduction of a general in the coming days we will treat individual dossiers on Syria, Egypt and Tunisia.