Prosegue il nostro dossier sulle primavere arabe con un focus sulla Tunisia. Dopo aver analizzato l’articolato processo di cambiamento istituzionale egiziano, approfondiremo quello tunisino partendo da un dato certo che è rappresentato da una blanda se non esistente influenza sul processo di democrazia di questo paese da parte di influenze estere. Rispetto a quella egiziana e siriana – quest’ultima la passeremo in rassegna in conclusione del dossier sull’evoluzione delle “primavere arabe”- la transizione tunisina può sembrare estremamente semplicistica. Gestita da attori apparentemente preoccupati di garantire la stabilità e il rispetto delle regole della democrazia, le sono state risparmiate le manipolazione dall’estero. Questo si spiega con un fattore geografico: benché sorvegliata dall’antica potenza coloniale francese, di rado la Tunisia è stato teatro delle competizioni geopolitiche degli interessi stranieri. La sua popolazione è relativamente omogenea sul piano religioso. Il principale pomo della discordia dopo la caduta di Zine El Abidine Ben Ali, è la lotta fratricida fra islamisti e laici.
Il partito di Hennahda, di ispirazione islamista, ha vinto le prime elezioni libere, ma ha commesso lo stesso errore dei Fratelli Musulmani egiziani: ha interpretato il mandato come un via libera per il potere assoluto. La situazione politica si è rapidamente deteriorata, con l’assassinio di diversi oppositori di sinistra e il rafforzamento dei gruppi salafiti, del tutto ostili al pluralismo elettorale. Le loro minacce hanno suscitato malessere presso la popolazione, poco abituata a questo tipo di clima.
In Tunisia nessun campo può aspirare all’egemonia, ed Hennahda ha formato una coalizione con due partiti laici. I movimenti liberali e progressisti hanno così finito per accettare il dialogo nazionale proposto dal governo e per lavorare con gli islamisti – salvo i più radicali- salafiti in particolare. Tutti i partiti dello scacchiere elettorale si sono resi conto di non poter più ignorare la spirale di violenza politica. Inoltre, la frattura fra religiosi e laici si è rivelata meno insormontabile del previsto. Alla fine c’erano poche differenze fra gli islamisti moderati e i loro rivali laici, i quali riconoscono ora più volentieri l’importanza della religione in ogni nuovo sistema politico.
Ma è soprattutto la vivace società civile a rianimare il calendario della transizione democratica. L’Unione generale tunisina del lavoro, l’organizzazione degli imprenditori e l’Unione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato, l’Ordine degli avvocati e la Lega tunisina dei dritti umani hanno partecipato molto attivamente al dialogo nazionale. Hanno fissato nuovi obiettivi al governo e appoggiato la ratifica della Costituzione.
Rispetto all’Egitto, l’esercito tunisino ha avuto un peso molto inferiore: al suo interno gli effettivi sono poco numerosi e poco politicizzati, e dalla rivoluzione del 2011 sono rimasti nelle caserme. Il regime di Ben Ali era stato di polizia, non una dittatura militare. Il suo governo, tecnocratico e cleptomane, poteva benissimo fare a meno di un’assise ideologica. Ecco perché la rivoluzione tunisina ha liquidato la élite del vecchio partito unico lasciando intatte la burocrazia e le forze di polizia, che non facevano parte del regime. La conservazione di questa ossatura ha contribuito a mantenere una relativa stabilità dell’ordine legale. Inoltre, la vecchia autocrazia aveva costruito una robusta struttura istituzionale e legislativa, che certo era servita a poco negli ultimi dieci anni dell’era Ben Ali, ma che oggi può essere utile per costruire un sistema democratico funzionante. Proprio perché il nepotismo di prima era privo di qualunque ideologia suscettibile di ricomparire, il ripristino di uno Stato autoritario sembra poco verosimile.
La Tunisia ha la chance di poter rispondere alle proprie incertezze con i propri mezzi, senza dover aspettare la buona volontà degli altri. Le potenze mondiali e regionali hanno giocato un ruolo meno importante nella transizione in corso. Washington non ha messo il veto all’ingresso di Hennahda al governo, né ha favorito questo o quel candidato. Gli Stati petroliferi del Golfo hanno evitato di sostenere in modo pesante i loro favoriti. La Francia mostra una neutralità circospetta, visto che la sua immagine si è offuscata dal totale sostegno garantito a Ben Ali fin all’ultimo secondo del suo regno. In caso di successo, l’esperienza tunisina – che parrebbe intrapresa dopo l’approvazione della nuova costituzione che merita di essere oggetto di approfondimento nei prossimi giorni- potrebbe essere percepita come un segnale di speranza in tutta la regione, e forse anche oltre.
Continues our dossier on the Arab Spring with a focus on Tunisia. After analyzing the complex process of institutional change in Egypt , Tunisian deepen that starting from a certain data which is represented by a weak if non-existent influence on the process of democratization of this country by foreign influences . Compared to the Egyptian and Syrian – the latter will review at the end of the file on the evolution of the ” Arab Spring ” – the Tunisian transition may seem extremely simplistic . Managed by actors apparently concerned to ensure the stability and respect for the rules of democracy, and were spared the manipulation from abroad. This is explained by a geographic factor : although supervised by the ancient French colonial power , often Tunisia was the scene of geopolitical competition of foreign interests . Its population is relatively homogeneous in terms of religion. The main bone of contention since the fall of Zine El Abidine Ben Ali, the fratricidal struggle between Islamists and secularists .
The party Hennahda -inspired Islamist , won the first free elections , but he made the same mistake of the Egyptian Muslim Brotherhood : interpreted the mandate as a green light for absolute power . The political situation has deteriorated rapidly , with the assassination of several left-wing opponents and the strengthening of Salafist groups , entirely hostile to electoral pluralism . Their threats have caused unease among the population , unaccustomed to this kind of climate .
In Tunisia, no field can aspire to hegemony , and Hennahda formed a coalition with two secular parties . The liberal and progressive movements have thus come to accept a national dialogue proposed by the government and to work with the Islamists – except the most radical – especially Salafis . All the parties of the Exchequer election they realized they could no longer ignore the spiral of political violence. In addition, the gap between religious and secular was less insurmountable than expected. At the end there were few differences between moderate Islamists and their secular rivals , who now recognize more readily the importance of religion in any new political system.
But it is especially vibrant civil society to revive the timetable for the transition to democracy . The Tunisian General Labor Union , the employers’ organization and the Tunisian Union of Industry, Commerce and Handicrafts, the lawyers Association and the Tunisian League of Human straight participated very actively in the national dialogue. They set new targets to the government and supported the ratification of the Constitution.
Compared to Egypt, the Tunisian army had a much lower weight : inside the actual are few and not very politicized , and the revolution of 2011 have remained in the barracks . The regime of Ben Ali was a police state , not a military dictatorship. His government , technocratic and kleptomaniac , could very well do without an ideological assizes . That’s why the Tunisian revolution has liquidated the elites of the old party , leaving intact only the bureaucracy and the police, who were not part of the scheme. The preservation of this structure has helped to maintain a relative stability of the legal order . In addition, the old autocracy had built a strong institutional structure and legislative , that was certainly done little in the last ten years of the Ben Ali, but today it can be useful to build a functioning democracy . Just because the first of nepotism was devoid of any ideology likely to reappear , the restoration of an authoritarian state seems unlikely .
Tunisia has the chance to be able to respond to their uncertainty with their own resources, without having to wait for the good will of others. The world and regional powers have played a less important role in the ongoing transition . Washington has vetoed the entrance of Hennahda to the government, nor has favored this or that candidate . The Gulf oil states have avoided incurring so heavy their favorites. France shows a cautious neutrality , since his image was tarnished by the total guaranteed support to Ben Ali until the last second of his reign. If successful , the Tunisian experience – which would seem to be undertaken after the approval of the new constitution that deserves to be further discussed in the next few days – could be perceived as a sign of hope throughout the region , and perhaps beyond .